Tutti siamo soli in questo mondo.
Molti pensano di esserlo più di altri.
Qualcuno lo è.

18.11.09


I sogni non mi erano di sollievo, anzi. Ai primi sintomi di sonno Fatima mi afferrava la mano, le sue unghie lunghe, curate. I miei occhi appena chiusi si aprivano sui suoi capelli lunghi fino al sedere, appoggiati alla veste bianca. La scollatura davanti faceva intravedere le rotondità dei seni. I piedi nudi fermi sulla terra marrone. Le caviglie sottili, che sole dicevano di un corpo nudo sotto la veste. Le guardavo le labbra, sorrideva. Libera da peccati accompagnava la mia ascesa all'Empireo. E io non riuscivo a guardare i cieli intorno a me, fissi com'erano i miei occhi sul suo corpo. Fissa com'era la mia attenzione su quella mano che stringeva la mia: contatto con il desiderio. Tutto poteva essere eterno, potevo essere accompagnato da quella mano fino alla Rosa dei beati, ma la sentivo scivolare, scorrere sulla mia. Sentivo la presa lasciarmi, farmi precipitare, cadere. Ora guardavo il suo viso proteso all'infinito allontanarsi e pian piano bruciare arso dalla luce di quel Dio così diverso da me. Io a terra, il culo su quel pavimento bagnato che avevo eletto a mio giaciglio. Ero nel cielo di Venere circondato da amanti, proprio io che amante non avevo. Lasciare quella mano il mio peccato. Passar l'eternità in Paradiso il mio contrappasso. E allora forse avrei preferito aprire gli occhi perché su quel pavimento bagnato, ne ero sicuro, nessuno poteva essere felice. Quando mi ero addormentato in tutta la stazione c'erano poco più di due tossici, e allora forse svegliarmi e guardare i loro occhi mi avrebbe fatto dimenticare quel viso proteso all'infinito. Quelle caviglie. Quelle labbra. E i baci degli amanti intorno a me.
Ma quando sei stanco ed ubriaco non puoi fare a meno di sognare e ricordare. Dieci anni prima, una fredda sera, c'era la neve, era un bellissimo dicembre. Maligno spirito del Natale passato! A rapirmi è il fantasma di Dickens. Stronzo. A trascinarmi spettatore di quel mio passeggiare accanto per bancarelle in cerca di regalini per amici. Fatima al mio fianco, lei in mia compagnia. Eravamo felici agli occhi degli altri e in quegli occhi, nello sguardo dei venditori, mi vedevo felice. E lo ero. Allora mi chiedevo come fosse possibile e ora volevo rispondere, zittire il Dickens chiacchierone, moralista molesto, fermare con la mano sul suo petto la mia copia passeggiante felice e dirgli: “E' questa. Nient'altro. Goditela. Sarai felice finché gli altri così ti immagineranno, poi questa sera seduto al bancone del pub cercherai di ricordare questi bei momenti e vorrai condividerli allegro con la barista, ma lei, vedendoti solo come un cane, ti immaginerà triste e la tua felicità passerà”. Ma l'uomo non può interferire con i propri ricordi, essi si modificano a sua insaputa: ciò che ti rendeva felice ora ti riempe di gioia e lacrime il cuore e ciò che ti faceva soffrire ora ti fa piangere di dolore. E allora fanculo Dickens e fanculo Fatima. Svegliati! Svegliati prima di sognare le vostre labbra baciarsi, non vi siete mai baciati, svegliati prima di vederla nuda attenderti a letto, che mai così l'hai potuta ammirare, svegliati ora perché se ancora indugi al risveglio ricorderai questo sogno e il pensiero che ti coglierà ucciderà tutto. Ma non ne ho mai fatta una giusta con Fatima e in quelle notti mi soffermavo ancora a lungo a pensare a tutte le dolci frasi che ho udito pronunciate da lei, mi soffermavo così al lungo da lasciarmi riscaldare le palpebre dal primo sole, facendole lentamente sbocciare nella primavera della mia giornata. Poi il crampo allo stomaco. Mi mettevo seduto con le mani strette sopra la pancia. Il dolore dell'umidità mi saliva dalla schiena al torace. Il cuore accelerava, la testa mi girava e mi pesava molto più di quanto il collo riuscisse a sopportare. Mi dovevo sdraiare nuovamente, ma non lo volevo fare, sapevo che non ci sarebbe stato più sole, niente fiori ma solo passanti infastiditi e neon ronzanti in stazione. Sapevo che non avrei potuto fare a meno di pensare che Fatima non era mai esistita, il suo, per me, era poco più di un nome di fantasia. Una commessa sconosciuta di un negozio di biancheria femminile lungo il viale principale della città. Una compagnia di corso seduta troppo lontano per poterle rivolgere la parola. L'amica di un'amica del mio amico. Aria. Fatima era una ragazza che non avevo mai conosciuto. E allora perché stavo continuando a sognarla? Perché non ricordare i bei momenti con Sonia, i dolci abbracci con Valentina, le trasgressive nottate in compagnia di Patrizia e Vanessa? La mia vita sentimentale andava davvero completamente buttata nel cesso per far spazio ad un bel visino e a delle stupide caviglie sottili? Non potevo pensare di essere così superficiale. E soffrivo. Il dolore echeggiava nel mio stomaco vuoto. Ogni mattina mi svegliavo per dimenticare la notte. Ogni sera mi addormentavo per dimenticare la giornata.

9 commenti:

  1. lascio perdere la storia dell'autobiografico perché questa volta hai superato te stesso nello smascherarti, addirittura mi hai anticipato rispondendo al commento che volevo farti dalla seconda frase.

    però non mi è sfuggito il solito typo: "il culo su quel pavimento bagnata".

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  2. P.S. Chiedo pubblicamente scusa al fantasma di Dickens: Yo, amico, niente di personale, io ti rispetto, sai? Sei uno giusto. Dico davvero. Sei uno che ha mentalità. Lasciamo perdere queste storie di licenze poetiche e andiamo a farci due tiri di oppio, dai.

    Con ciò spero che la smetta di perseguitarmi.

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  3. @ sushi: accidenti! E l'ho anche riletto questa volta! Ma un giorno le pagherai tutte! Ti sposterò le lettere della tastiera.

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  4. maledizione, scrivi dannatamente bene. Non conosco il fantasma di Dickens, ma non credo che ne possa aver male..

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  5. mi sposterai le lettere della tastiera: mi manderai in Francia?

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  6. E' quasi pronto...questione di giorni...

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