Tutti siamo soli in questo mondo.
Molti pensano di esserlo più di altri.
Qualcuno lo è.

2.2.10

Poi, un giorno, finì il decennio e conobbi Suzanne. Non può il capo di un uomo restare troppo tempo chino. E non potevano i miei occhi restare troppo a lungo fissi sui miei piedi. In un negozio di elettrodomestici eletto a rifugio pomeridiano dal freddo, ricordo, avevo notato nell'enorme schermo del televisore LG offerto da Sky un “-3” sotto il logo di MTV. Il giorno dopo lo stesso fenomeno si era riproposto sopra il logo di Italia 1. Questa volta c'era un “-2”. L'evento doveva essere di grande interesse; valeva la pena rompere il mio ostinato e astioso silenzio. Parlai, domandai, chiesi in giro. Ottenni una decina di insulti e altrettante risate: la gente è solita reagire in maniera bizzarra a ciò che non comprende. Io bestemmiavo e ridevo con loro, tanto per non sembrare troppo strano, li assecondavo. Quando, però, unendo gli indizi, svelai il mistero, capii che qualunque cosa avessi detto, con quella iniziale domanda l'etichetta di “strambo” era già cucita. Di lì a due giorni il mondo avrebbe festeggiato quei dieci anni che io avevo passato a cercar di fuggire, di perdermi, di sparire. Lì per lì la notizia non doveva essermi parsa di grande interesse, ma poi qualcosa cambiò. Sarà stata la coscienza di essere in un periodo consono al tirar le somme o quel vedermi circondato da schermi e da persone che avevano occhi solo per quegli schermi, insomma, mi invase una sensazione di vittoria. Ce l'avevo fatta. Ero scomparso. Perso, sparito, fuggito.




Ora che ero morto potevo rinascere. Diventare un nuovo personaggio di uno di quei romanzi che narrano la vita di un'intera dinastia. Sarei stato il figlio di quello di prima. Intrinsecamente legato agli antenati di cui conosciamo vita, morte e miracoli, ma pur sempre un personaggio tutto da scoprire.
Decisi di tenere un diario di viaggio: una prima testimonianza della mia nuova vita. Scrivevo, cioè, di me per prendere confidenza con l'idea di esistere. Per permettermi un quaderno e una penna avevo dovuto cominciare a chiedere l'elemosina e la cosa, se ben ricordo, non mi dispiaceva affatto. Conoscevo, anche se per brevi attimi, un sacco di persone e la colletta mi permetteva di passare i pomeriggi in bar e pizzerie: rifugi più consoni alla mia nuova attività di scrittore. Dopo un mese di lavoro mi ero comprato una borsa in finta pelle per conservare tutte le carte, del tabacco da girare per fumare tra una pagina e l'altra e un set di evidenziatori per meglio orientarmi tra i miei scritti. Ero conscio di non star componendo una grande opera, si trattava per lo più di liste di cose viste, di cibi mangiati e di dolori avvertiti. Il tutto, però, mi faceva stare bene. Fu in uno di questi momenti di pace con me stesso che vidi per la prima volta Suzanne.




Ero seduto in un bar a compilare il mio diario e avevo appena convinto la cameriera a portarmi un panino senza bibita, senza contorno e senza menù speciale quando una ragazza di poco più di un metro e mezzo, con capelli castani corti ed una treccina che le scorreva lungo il collo, con gli occhi chiari e un forte rossetto rosso sulle labbra, con un sorriso strano e le mani un po' sporche, si sedette al mio tavolo e cominciò a fissarmi. Annotai subito sul diario l'accaduto evidenziandolo con un fucsia grandi occasioni.
-Che fai?- mi disse.
-Prendo nota-
-Hai sbagliato prima- continuò non badando più di tanto alla mia risposta -A non prendere il menù speciale, intendo. E' un'occasione. Se pensi di non riuscire a finirlo ti posso sempre dare una mano io-
Sorrideva ancora. Pensai che non avrei voluto risponderle in maniera maleducata, ma anche che forse non ero più in grado di essere educato. Poi mi uscì qualcosa del tipo: -Che, non hai neanche i soldi per prenderti delle patatine?- Non era un granché e lei ne arrossì, ma senza smettere di sorridere avvicinò la bocca rosso ferrari al mio orecchio destro e sussurrò: -Sono una nobildonna francese caduta in disgrazia per colpa di certi poveri come te che si sono ribellati. Come minimo dovresti offrirmi delle patatine-.
Ribattei, forse credendoci troppo, che le patatine se le poteva scordare e che comunque, viste le vicissitudini passate, era già fortunata ad avere ancora la testa sopra il collo. Ma forse avrei dovuto dirle che non avevo soldi a sufficienza, forse l'avrei fatto, se lei non mi avesse interrotto.
-Poteva andarmi peggio!- mi disse infatti con fare molto divertito -Eh sì...poteva andarmi peggio!- Poi, sforzandosi di assumere un atteggiamento più serio, aggiunse: -Sai? C'è un vecchio contadino nei miei possedimenti che, ogni cosa che gli viene riferita, risponde con un “Poteva andare peggio”. Un giorno gli dicono che il suo vicino è morto suicida dopo aver scoperto e ammazzato la moglie con l'amante. Lui, al ché, risponde con il solito “Poteva andare peggio” e poi, vedendo la faccia sbigottita dei presenti, aggiunge: “La settimana scorsa a letto con sua moglie c'ero io”-.
Detto questo quella strana ragazza cominciò a ridere così scompostamente da imbarazzare persino me. E mentre, fronte aggrottata, cercavo di capire il motivo di quel racconto oltre che di quella eccessiva risata, mi schioccò un bacio sulle labbra e si allontanò, ancora ridendo, dal bar. Quella sera sfilai dal cellofan l'evidenziatore azzurro e nella giornaliera lista di cose fatte evidenzia la parola “bacio”; anche se, a dirla tutta, io non avevo fatto proprio niente.




Il giorno dopo rividi la stessa ragazza in un altro bar della via Emilia, dieci chilometri più vicino a Parma rispetto al precedente. Doveva aver percorso in macchina ciò che io avevo percorso a piedi. Era abbracciata ad un ragazzo sui trent'anni, sguardo assente e labbra leggermente incurvate in un sorriso. Mentre venivano a sedersi nel tavolino vicino al mio lei mi scagliò uno sguardo e, credo, un occhiolino. Dopodiché non esistetti più e, pubblico in ombra di un palco ben illuminato, assistetti a scene di ordinario corteggiamento e frivolezze varie. Tra l'annoiato e l'infastidito per l'eccessiva banalità dell'opera, soprattutto rispetto all'originale della prima, decisi di andarmene. Rinfilai tutte le carte nella borsa e andai a pagare alla cassa. Fu in quel momento, in un'ultima occhiata al palco, che notai una mano di lei infilar un pasticcino nella bocca di lui, mentre l'altra mano gli sfilava dalla tasca del cappotto il portafogli. Questo era troppo. Quella ragazza doveva essere un discorso chiuso. E così sarebbe stato se il giorno seguente non si fosse fermata sul ciglio del mio passeggiare un'auto sportiva col tettuccio aperto e lei all'interno.




Insieme alla ladra in quella macchina c'era un ragazzo alla guida, uno che non avevo mai visto e che a pelle non mi risultava molto simpatico. Mi fece segno di salire. Obbedii. Mi sistemai sul sedile posteriore tirandomi su il cappuccio della felpa e incrociando le braccia al petto per il troppo vento. Attraverso il freddo li vedevo scherzare. Dopo una ventina di chilometri ci fermammo per mangiare una cosetta insieme, il tizio sconosciuto mi aveva fatto segno di seguirli. Due passi dopo di loro cominciavo a capire tutto: era la storia di un'autostoppista ladra che incantava i ragazzi e rubava loro i soldi. E capivo l'occhiolino di complicità il giorno prima, il suo avvicinarsi a me quello ancor prima. La trama della farsa era spiegata e io da pubblico diventavo attore. Per un attimo pensai di avvertire il ragazzo, di fermarla e forse di farla arrestare. Ma il ruolo che sentivo calzarmi meglio era quello di complice, quello che probabilmente lei aveva scelto per me. L'occhiolino, il bacio, quel viaggio in macchina: erano le uniche cose che ci potevano collegare, ma non ci avrebbero scoperto mai.




Poco dopo esserci seduti e aver ordinato la mia complice andò in bagno lasciandomi il compito della conversazione. Dovevo svolgere al meglio la mia parte e ci provai, ma non fu per niente semplice, tanto che dopo poco, invaso dall'imbarazzo, mi misi ad annotare sul diario quello che di lì a poco avrei mangiato. Lui allora, per uscire a sua volta dalla difficile situazione, la andò a cercare in bagno promettendo ad alta voce unioni clandestine là dove si sarebbe trovata. Poi uscì dal locale, rientrò correndo e riuscì ancora più velocemente, urlò disperato: -Quella stronza mi ha fottuto! Figlia di troia! Porca puttana! Mi ha fottuto la macchina!- Urlava, imprecava e chissà che faccia stavo facendo io. Probabilmente un misto di sorpresa e delusione, un'espressione buffa e scema, sicuramente. Il tizio poi venne minaccioso da me: -E te? Non sei suo complice? Cosa cazzo ci fai ancora qua? Perché non sei scappato con Suzanne?-
-Suzanne?- non sapevo neanche si chiamasse così -Non la conosco. Giuro.- E di sicuro lo stupore e la delusione erano ancora ben impressi sul mio viso perché mi credette.
-Ma allora perché ha voluto che caricassi su anche te?-
-Non lo so. Davvero. Non lo so-
-Mah... Avrà voluto fregarne due invece che uno quest'oggi- concluse lui con rassegnazione.
Certo, per rimediare al flop di due giorni fa, pensai io. Ma non lo dissi.




Ci fermammo a mangiare ciò che si era ordinato, compreso il menù speciale con doppia razione di patatine scelto da Suzanne, e alla fine pagai io con l'intera colletta di due giorni, poiché il mio compagno di sventura era rimasto anche senza portafogli. Poi chiacchierammo per un paio d'ore di donne, di fregature, di Suzanne e di quanto, tutto sommato, fosse veramente bella. Ci trovammo concordi sul fatto che mai eravamo stati lasciati da una donna così velocemente, ma che questa storia in sostanza non era molto diversa da altre che avevamo vissuto. Mi sorpresi ad aggiungere: -Dai, poteva andare peggio. Almeno non abbiamo dovuto conoscere i suoi genitori-. Infine accompagnai il mio primo nuovo amico alla stazione e lì ci salutammo per sempre.




Nei mesi che seguirono spesso ripensai a Suzanne. Occupava gran parte dei miei pensieri. Non ero arrabbiato. Provavo un forte sentimento per lei; forte, violento e incontrollabile. A volte mi convincevo che fosse amore, altre volte concludevo che era solo curiosità. E mi interrogavo: come potevo confondere le due cose? Non riuscivo a capirlo. E non capivo neanche perché di tutte le ragazze di questo mondo io ero curioso di conoscere solo questa maledettissima Suzanne.